E così, nell’avventura favolosa della tua vita, non sei stato neppure Tu, fino alla fine, quello sempre e solo fortunato.
Colpito dal male più oscuro nell’imprevedibile imperfezione della natura di ogni corpo umano, torturato per anni in una devastante consumazione di quel fisico scolpito elegante potente, da ultimo sopraffatto proprio nel tempo della piena maturità dell’esistenza e condannato a un destino ingiusto quanto inesorabile.
Chi l’avrebbe mai immaginato, questo maledetto finale prematuro, quando da ragazzini ci siamo incontrati, attraversando non facilmente, diversi ma insieme, un tratto della nostra adolescenza, nel passaggio indeterminato e cruciale tra infanzia e gioventù.
Dai banchi e dai corridoi di una Scuola, composta ma socialmente inquieta, funzionale ma contaminata dalle tensioni giovanili che si annunciavano, ancora proto-meticcia ma già capace di suggerire il mondo che verrà; fino ai marciapiedi, ai prati, ai muretti di un quartiere in divenire, moderno e interclassista, a un tempo senz’anima e in formazione, composito e armonico, quel “Villaggio Po” dove la palazzina borghese e il condominio popolare si alternavano e si guardavano, si affacciavano e si distinguevano, senza mai contrapporsi e senza mai fondersi, ma in qualche modo sempre mescolandosi e mischiando le vite di quellə che li abitavano, praticando l’antidoto benefico dell’incontro, della conoscenza, dell’esperienza tra diversità invece di quella logica maligna della separazione, della ghettizzazione, dell’esclusione che a oggi sembra pervadere le forme antisociali dell’essere e del vivere i luoghi fisici e morali dello stare al mondo.
Seconda metà dei “formidabili” anni ’70…
Il destino volle che in quel passaggio di vita, in quella scuola-crogiolo, io fossi il Tuo compagno di banco.
Eravamo diversi, in tutto e per tutto.
Aspetto, carattere, personalità. Condizione sociale, cultura familiare, principi educativi.
Quelle volte che mi prendevi in giro insieme agli altri spavaldi come te, ma poi mi portasti una torta alla porta di casa per farti perdonare. Quella volta che pretendevi ti passassi i compiti, ma io mi rifiutai perché non te lo “meritavi”. Quella volta che rubasti la mia “ricerca” sugli ultras, ma poi me la ridesti perché era “troppo bella per te”. Quelle ultime volte che ancora andammo alla Cremo insieme, prima che Tu diventassi un “professionista”.
Voi uscivate con le ragazze da corteggiare, io non ero abbastanza per partecipare al gioco. Voi fumavate sui motorini al “muretto dei ricchi”, noi tiravamo i sassi nelle pozzanghere. Voi andavate in settimana bianca, noi esploravamo i palazzi in costruzione.
Tu eri un ciutto disinvolto, io ero uno sfigato impacciato.
Forse a molti può sembrare assurdo raccontato oggi (o no?), ma quella differenza socioculturale e propriamente antropologica anche tra ragazzini – borghesi e proletari – pur non essendo una barriera insuperabile in un quartiere che portava a incontrarsi, segnava nei fatti una distanza difficilmente colmabile.
Tu e io non potevamo davvero essere amici, non volevamo veramente diventarlo. E la nostra debole amicizia svanì, al primo divaricarsi delle nostre attività.
Negli anni successivi ci allontanammo del tutto, troppo diverse erano le nostre attitudini, i nostri immaginari, le nostre vite.
E io in fondo ne ero stupidamente sollevato, dal non dovermi più misurare con il Ciutto, il Ricco, il Campione. Il “diverso” da me.
Voglio però ricordare oggi una nostra comune vicenda, insignificante agli occhi adulti, ma intensa e profonda nel vissuto adolescente, comunque emblematica ed evocativa come poche di quelle nostre personalità.
Torneo di Calcio della Scuola, da giocarsi presso il solito Oratorio del quartiere (Cristo Re, oddio che brutto nome).
1 squadra per classe, la nostra solo maschile, 27 ragazzini quasi tutti infervorati per il Calcio.
Problema: chi gioca? chi lo decide? cioè, chi comanda (ovvero “fa il capitano”), chi sono gli 11 titolari fissi, chi sono le 3-4 riserve (allora le rose/panchine lunghe e i 5/6 cambi attuali erano inconcepibili, ndr).
Inutile dire che (giustamente) se nella tua classe c’è addirittura Vialli, quando si tratta di Calcio decide e comanda solo Lui.
E lui decise, scelse i 3-4 più buoni, poi quelli decenti e/o bulli, chi e come doveva stare in campo.
Tutti gli altri, esclusi e in silenzio. Io, ovviamente, lento molle timoroso come ero/sono in campo (e fuori) non esisto. E poi avevo pure “il culo bassissimo”, come diceva Lui.
Eravamo una prima, ma eravamo la prima di Vialli.
E le cose vanno come devono e possono, piazzamento onorevole alle spalle delle migliori terze e davanti a quasi tutte le seconde.
Arriva il secondo anno, Vialli è ancor più Vialli, io calcisticamente per quanto appassionato resto piuttosto scarso (l’ispirazione e la maglietta artigianale di Claudio Sala, il Tremendismo di Paolo Pulici e del Toro scudettato non bastano a farmi diventare un calciatore, pur modesto).
Ma forse sto diventando quel qualcos’altro che sono (o almeno, credo di essere stato): e allora, quest’anno non ci sto più, rompo silenzio e rassegnazione, alzo la mano e mi alzo in piedi, mi prendo la parola e “pongo la questione”…
«È il torneo della scuola, serve per giocare insieme, devono giocare tutti! A rotazione egualitaria!!».
Boati, urla, risate, insulti, botte… Vialli un po’ mi ascolta tra curiosità e compatimento, poi si unisce al gruppo di quelli più o meno “bravi” e sentenzia che non s’ha da fare, al massimo chi vuole viene ad allenarsi ma poi non gioca.
Ma se in campo ero scarso, in classe, tra ragionamento voce e spinta, sapevo farmi valere… e alla fine, l’insubordinazione si fa Rivoluzione (l’unica che ho saputo fare, in vita mia) e il principio viene accettato e affermato.
Tutti convocati!
Alcuni declinano per disinteresse, acciacchi, paura… ma restiamo in 16/18 abili e arruolati.
Si gioca tutti col turnover!
Calcio totale all’olandese, fisso in mezzo solo Vialli!
E così – in quello strano equilibrio di Democrazia Calcistica tra il Re Vialli e la Repubblica dei Ragazzi – con la nostra turbolenta Sezione H (…vero Mancio, Fili, Principe, Dotto, Sandrone ecc.?) giocheremo il Torneo della Scuola, sia in seconda che in terza classe, con grande soddisfazione (mia) e buoni risultati (5° e 3° posto, mi pare, comunque non abbiamo vinto, eh).
E così, avviene persino il “Miracolo del Calcio Mondiale”, che se avessi (avuto) figli potrei un giorno raccontare ai nipotini:
ebbene sì, in una di quelle appassionate partite, sotto la pioggia battente, un peraltro febbricitante Gigi Rossetti col 6 alla Neeskens, dopo una travolgente discesa in fascia, fa un cross dal fondo a rientrare (ma quando ne ri-vedremo uno allo Zini‽, ndr) per un gran goal in scivolata volante di Gianluca Vialli!
Di più: poco dopo, scambio fuori area tra me e Lui, io me la aggiusto di sinistro e con un tiro a giro di destro dal limite dell’area la metto dentro all’incrocio dei pali!
Ebbene sì, lo posso dire: io ho fatto un assist per un goal a Gianluca Vialli e ho fatto un goal su assist di Gianluca Vialli!!!
Ma resto calcisticamente umile…
(fine aneddoto auto/biografico)
Ecco. In quei giorni felici, Tu eri già “un” Vialli, ma stavi soprattutto cominciando a diventare “quel” Vialli;
eri il figlio più piccolo di una Famiglia importante e possidente, nominata e invidiata, vistosa e intrigante.
Brillante affascinante estroverso, con la bellezza e la forza di chi ha molti motivi per vivere felice il suo presente e altrettante ragioni per correre entusiasta verso il suo futuro; intelligente il giusto e sbruffone abbastanza per realizzare quelle possibilità e godere di quei privilegi:
bello ricco e famoso, si sarebbe detto, spensierato, intraprendente e sicuro di sé, persino un po’ sfrontato, con tutti e ciascuno, amici, insegnanti, passanti sconosciuti…
Forse anche con sé stesso.
E poi – oh, ma come facevi…‽ – Tu eri già insopportabilmente “capace” con le ragazze, bello e possibile, con tutti quei polpacci e tutti quei riccioli, consapevole di piacere e di essere ambito, ci sapevi fare ed eri capace di farlo in modo attivo e creativo, originale e divertente, come a volerti godere il gioco leggero del flirtare quanto e prima della “conquista” dell’affettività/sensualità adolescenziale; come a voler essere – anche lì! – protagonista e funambolo per meritarti davvero uno sguardo un bacio e magari un appuntamento, non volendo accontentarti di stare seduto ad aspettare per raccogliere i frutti di quel che sarebbe comunque potuto arrivare.
E infine, ma soprattutto – perché fin qui te la saresti già passata benone, ma non saresti stato l’unico, nel pur limitatissimo club dei più fighi del rione – non sarò ipocrita, Tu avevi una particolarità eccezionale che ti rendeva unico:
Tu eri già un piccolo-grande mito calcistico nostrano; e per questa cosa speciale, finalmente e indiscutibilmente buona & giusta oltre e sopra ogni altro controverso sentimento personale, eri quindi ammirato universalmente come una creatura semi-divina da tutti noi poveri sfigati del Calcio (e non solo).
Eri quello che toccava e tirava il pallone come nessuno mai avevamo e avremmo visto fare dalle nostre parti; eri quello che del Calcio sapeva fare tutto e meglio, regista centravanti ala mediano libero… e poi magari facevi anche il portiere, quando gli altri 21 delle 2 squadre volevano giocarsi un po’ la partita pure loro; eri quello che partiva dalla linea della propria porta, dribblava e lasciava indietro tutti i 10 avversari in linea retta, si fermava davanti al loro portiere, lo aspettava, dribblava anche lui e lo faceva sedere, poi scattava verso la porta, fermava il pallone sulla linea con il piede, si sdraiava e faceva gol di testa.
Eri quello che giocava sempre e solo così: con la stessa passione e la stessa leggerezza, la stessa concentrazione e la stessa determinazione, che fossi da solo o contro dieci, nel nulla silenzioso o davanti ai primi pubblici vocianti;
sempre e solo così, nel cortile di casa o in piazzetta, nel campo grande o sul cemento dell’Oratorio, nei primi campi verdi veri dei campionati ufficiali o nei campetti spelacchiati lungo gli argini (sì, perché allora giocavamo tutti a calcio tutto il giorno tutti i giorni nei campetti, anche senza porte e linee, senza mai maglie e docce, ma con un pallone “quasi-vero” però, che uno strapazzato di simil-cuoio, grande e pesante da gonfiare con lo spillone ogni bambino buono e cattivo, povero o ricco, da Santa Lucia ogni tanto lo riceveva).
A guardarti sembrava solo un gioco, eccezionale e inimitabile, ma pur sempre solo un gioco.
Ed in effetti, Tu “giocavi”.
Ma in quel gioco – l’avrei e l’avremmo tutti capito poi, conoscendo meglio Te e il tuo cammino – mettevi tutto il “vero” te stesso, tutto il Vialli Gianluca che volevi essere e che volevi diventare.
Non un comodo “figlio di papà” che si gode passivamente i soldi di casa per fare una “bella vita” qualunque nel suo piccolo regno di provincia.
No. Tu con quel pallone attaccato ai piedi sudavi e piangevi, ti sfinivi e ricominciavi. Per quel pallone facevi tutta la fatica del mondo.
Eri solo un Ragazzo, ma eri già un Uomo.
Ancora non lo chiamavi così, ma avevi già deciso che il Calcio era, lì e allora (non “sarebbe stato”), il tuo Lavoro. A suo modo, un lavoro vero difficile duro, come quello di un operaio o di un muratore.
Eri stato fortunato, per nascita e censo; lo sapevi e approfittavi di una ricchezza per godere di un privilegio, uno solo ma speciale ed essenziale: potevi permetterti di scegliere un Gioco, il Tuo Gioco come Lavoro, uno particolare e unico, il Calcio.
E l’hai fatto: hai scelto il Calcio e l’hai fatto diventare la tua Vita, la strada e la meta, il mezzo e il fine, la gioia e la fatica del tuo essere e del tuo fare.
Il tuo posto nel Mondo.
Sì, Tu stavi diventando il vero e unico Gianluca Vialli, quel che di lì a poco avrebbero scoperto e ammirato tutti.
Le voci che arrivavano via Corona da Grumello e Pizzighettone, ormai si facevano coro di popolo nelle giovanili della nostra Cara Vecchia Cremo.
E dentro quella maglia così originale e antica, con addosso quei colori così unici, fede e vanto di un’identità povera fatta di umanità fatica e valori, con quelle strisce Grigie e Rosse che si scolpivano sul tuo corpo in formazione diventando bandiera viva, il Tuo Calcio prendeva così già la sua dimensione più straordinaria e incredibile, si faceva movimento e stile, arte e potenza, fantasia e coraggio, creatività ed energia, orgoglio e festa dei nostri sogni di ragazzi di provincia.
Di lì a poco, entrando nel mondo dei grandi, Settembrino e poi soprattutto Emiliano avrebbero completato l’opera, portandoti a maturare come dovevi e infine a esordire e sconvolgere, inventare e travolgere, in una Cremo che (anche) con Te visse il suo attimo più intenso e magico di sempre.
Poi, la tua favola diventa storia, e la tua classe mondiale ti porta altrove: calcio di potere, media e star, affari e soldi, chimica e mafie; un altro corpo, un altro volto, altre maglie (una infame), altre vite, altri mondi…
Uomo di mondo e star globale, nel tempo hai scelto e seguito un certo profilo nel rapporto con quella che pure continuavi e sentire la tua/nostra città e la tua/nostra Cremo. Qualche amicizia riservata, un po’ di beneficenza selezionata, un occhio attento da distante.
Non so se quella sia stata la “giusta distanza”. È stata quella che hai voluto prenderti. Non voglio giudicarlo, non voglio strumentalizzarlo, lo osservo e lo rispetto.
Hai fatto le tue scelte e hai fatto la tua strada, alcune volte non ti ho capito e qualche volta non ti ho apprezzato.
Come quando prestasti la tua voce credibile all’infame campagna dell’indifendibile Sistema-Calcio contro un Uomo Libero come il vecchio Zdeněk Zeman, primo e ancor oggi tra i pochi ad avere l’intelligenza e il coraggio di denunciare tutto lo skyfo che opprime e stravolge il nostro foot-ball degenerato.
Dio salvi Maradona.
Ma per un verso, dentro e fuori di Te, come per tanti e tante di Noi, Tu sei rimasto quel Ragazzino Straordinario, quell’amico impossibile, quello spaccone giocoso, quel playboy in erba, quel maledetto benedetto Vialli.
Quello che salutiamo oggi, con la testa piena di confusione e immagini e ricordi e rabbia. E con l’anima gonfia di dolore, per la perdita di un Uomo tradito nel più ingiusto dei modi.
Non mi appartengono le retoriche dell’Eroe e le ipocrisie dei Celebranti, non nel mio nome stanno pontificando i paladini del Sistema e le vestali del Mainstream.
Sto qui sui gradoni popolari della mia piccola vita partigiana a onorare i tuoi splendori e riconoscere le tue miserie.
Soprattutto, oggi sono tra quelli che vogliono leggere tutto il risvolto di Umanità, Coscienza, Amore con cui hai saputo camminare disarmato la via della sofferenza verso la tua Fine. Quella liberazione di dolcezza nell’abbraccio col tuo 5° fratello Mancio, quella dichiarazione di debolezza nelle tue confessioni di malattia, quella tua rivendicazione della tenerezza in alternativa alla retorica dell’eroe guerriero, quel riconoscimento del limite della tua natura umana nella dimissione dallo stereotipo del supermacho invincibile.
Maledico e benedico la vita che poteva essere e quella che è stata.
Saluto con rimpianto quel tuo sorriso stretto e dolce che non bastò per saldare un’amicizia.
Ma oggi ci invita ad accettare il tuo destino.
Addio, Ragazzo di Provincia diventato Cittadino del Mondo inseguendo il suo sogno di cuoio.
Oggi, finalmente abbassa di nuovo i calzettoni, incurvati ancora danzando col pallone e ricomincia a sgroppare dappertutto provando a dribblare il Mondo, se ci riesci, nelle praterie infinite dei cieli della memoria collettiva.
Ciao, Amico Perduto.
Sorridici, ancora e sempre.
Tu sei stato e sarai nell’angolo dei sogni e dei giochi nelle nostre menti e nei nostri cuori.
Tu sei stato e sarai il Nostro Caro Maledetto Benedetto Gianluca Vialli.
⚘
#Gianluca
#gianlucavialli
#calciopopolare
#cremonese
#cremona
(* foto rubata a Barbieri; ché quella della mia festina di compleanno non è di interesse pubblico)