Il sabato pomeriggio era dedicato al pellegrinaggio al negozio di dischi di via Anguissola, che si chiamava Alabama.
Adolescenti ribelli in cerca di musica per orecchie avide di rivolta.
Fluida chioma al vento, berretto da baseball al contrario (prima di Jovanotti) e jeans sdruciti, giubbo con spille e toppe e le immancabili scarpe da ginnastica alte, rigorosamente Adidas.
C’era una coppia a gestirlo, lui perennemente in jeans, camicia a scacchettoni (prima del grunge) e Clarks.
Lei uguale, solo che al posto della camicia sfoggiava maglioni peruviani d’inverno e kurta indiani d’estate.
C’era un bel clima, in quel negozio: gente che entrava a botta sicura e diceva cosa voleva, lo pagava e se ne andava, e chi si fermava un paio d’ore a far passare i dischi negli espositori, magari sapendo già cosa acquistare, ma per il gusto di farlo.
Noi eravamo una categoria a parte: dovevamo recuperare almeno vent’anni di musica perduta e stare al passo con le novità. Eravamo musicalmente, e non solo, confusi.
Ascoltavamo metal ma ci piaceva anche il punk, l’hardcore spaccava di brutto e certi gruppi dark non erano affatto male e la wave era carina e stava arrivando il rap.
Poi c’erano i grandi classici del rock, che però chi aveva fratelli maggiori già conosceva e condivideva con gli altri, ma il problema più grosso e insormontabile erano i soldi.
Nessuno di noi lavorava: tutti studenti dal profitto altalenante, che campavano con la paghetta settimanale dei genitori e qualche imprevista donazione di nonni e zii.
Si doveva fare un bilancio preventivo ed eliminare le spese superflue: quello che entrava doveva bastare per il biglietto dello stadio, i dischi e le siga. Eravamo tutti “scapoli” e quindi non dovevamo affrontare le spese per il regalo alla tipa e per pagare al bar quando ci si vedeva.
Le siga le compravamo in combutta e le dividevamo in parti uguali, e qualcosina si risparmiava, mentre per il biglietto dello stadio la spesa era piena.
Entravamo e ci perdevamo tra gli espositori, ognuno per i cavoli suoi, ma pronto a chiamare a raccolta tutti per condividere qualche scoperta.
C’era sempre musica in sottofondo, scelta dai tipi o da chi voleva ascoltare un disco prima di acquistarlo.
Non uscivo mai a mani vuote dall’Alabama: un disco lo portavo sempre a casa.
Non ricordo quando chiuse e neanche se c’era ancora quella coppia a mandarlo avanti quando successe; so che, quando passo davanti alla via, mi tornano in mente quei pomeriggi e che, adesso che ci penso, forse da allora non ho più percorso via Anguissola.
Tempo fa, in soffitta dai miei, trovai delle borsine del negozio, quelle belle borsine di plastica fatte apposta per i negozi di dischi, per chi acquistava vinili.
Le ho regalate a un amico.