Presente la graziosa Cappuccetto Rosso? Fate conto che sia francese, abbia uno zio che di professione fa il ballerino travestito e che la ospita nella sua casa di Parigi mentre la mamma, divorziata, passa un fine settimana con il suo ultimo amante, insegnate a questa bambina un linguaggio volgare, un comportamento irriverente, abbondante disprezzo per l’autorità e una voglia matta di vedere il metró. Ecco, lei si chiama Zazie e ha dodici anni.
Nella Parigi degli anni Cinquanta, popolata dai più strani personaggi del tempo, lei si aggira, con singolare indipendenza e disinvoltura, decisa a scoprire un mondo finora sconosciuto. Non riesce a visitare la metropolitana, il suo desiderio più ardente, ma in compenso, complice la sua precocità straordinaria, si fa abbordare da un satiro, amante di travestimenti, conosce nuove persone, tra le quali Laverdure, un pappagallo parlante, Marceline, la dolce compagna di Gabriel, lo zio, la signora Mouaque, vedova sì, ma ancora fin troppo esplicitamente in cerca di un compagno, che troverà in Trouscaillon, il satiro, ora poliziotto. E poi jeans rubati, funambolici giri in tassì, improbabili locali notturni e una esilarante guerra contro preti e polizia.
Ad avere partorito Zazie nel metró è stato il più illuminato degli scrittori del secolo scorso, Raymond Queneau, maestro di calembour (e di tante menti brillanti del nostro tempo, anche italiane: basti pensare a Bergonzoni) e geniale, oltre che nella costruzione della trama, nella caratterizzazione dei personaggi: frequenti ripetizioni di motti ed esplicite idee sociologiche caratterizzano tutti i suoi soggetti (Cidrolin, protagonista de I fiori blu, riassume bene entrambe queste caratteristiche), che sono comunque ottimamente delineati da una sintetica quanto precisa descrizione fisica.
Zazie nel metró è un libro sotto tutti i punti di vista nuovo (soprattutto se consideriamo che fino a trent’anni prima Verga stava ancora scrivendo i suoi mattoni), con una trama avvincente, un contenuto perfettamente dosato e uno humour che fa da filo conduttore a tutta la fiabesca vicenda, ma che non preclude, in alcuni momenti, scene veramente ricche di suspense. Scrivere un libro con una trama come questa ed evitare che si trasformi in spazzatura, proprio per la sua assurdità, sarebbe risultato impossibile per qualsiasi scrittore del tempo, ma Queneau, che allora aveva già dimostrato di avere molti conigli nel cappello con Esercizi di stile, ha talento e padronanza tecnica necessari per trasformare una fiaba in un capolavoro.
Le descrizioni, spesso il punto debole di molti romanzi del tempo (ognuno dei libri di Calvino, per esempio, che tra l’altro ha anche tradotto Queneau), sono perfettamente inserite nel contesto e non lasciano mai rallentare la lettura, anzi fortificano il pregio di un libro che può vantarsi al contempo di essere scorrevole e particolareggiato.
La perizia dello scrittore, lungi dall’essere offuscata da una storia fin troppo coinvolgente, è resa estremamente palese da un frequente ma ciononostante calibrato uso di figure retoriche, come evidenzia Louis Malle, il regista che si è assunto il gravoso onere di trasporre la piccola Zazie sul grande schermo, definendo il libro «un inventario di tutte le tecniche letterarie». Zazie è dunque una piccola Ulisse, con la differenza che, se è vero che Odisseo è in realtà (almeno secondo Brasioli, che comunque si è dimostrato di gran lunga superiore a tutti i commentatori di Omero e Dante) non un uomo teso alla scoperta, ma un adolescente spinto da un infantile desiderio di provare qualcosa di nuovo, Zazie, pur essendo anagraficamente ancora una bambina, ha una sensibilità e una maturità veramente adulte: è questo che permette al libro, che per la sua trama avrebbe potuto facilmente trasformarsi in una lettura adolescenziale, in un romanzo veramente imperdibile.