Il piccolo libraio di Archangelsk è un buon libro, come non può che essere un libro di Simenon, anche al difuori dei romanzi del commissario Maigret. Non è scontato, anche se si trascina in alcune sue parti su concetti che sono ben chiari fin dalle prime pagine, e in alcuni momenti è addirittura “palpitante” per l’angoscia che comunica.
Volendo andare un po’ più a fondo di quanto a prima lettura potrebbe sembrare (o perlomeno l’interpretazione che un po’ ovunque si legge al riguardo), il personaggio principale, il signor Jonas, il piccolo ebreo arrivato da una lontana cittadina russa, non attira alcuna simpatia/empatia, perlomeno nel mio caso. In un mondo dipinto realisticamente nelle povertà/bassezze della vita, l’incapacità (chiamiamola così) del signor Jonas rasenta il fastidioso, tanto che si viene portati a sospettare di lui come fanno le altre figure del romanzo, che non saranno sante, ma è proprio così che sono le persone: non sante. Un concorso di colpa tra protagonista/comprimari/lettore che porta a un risultato letterario sotto un certo punto di vista ottimo, ovvero far parte del libro e del giudizio che pende sul protagonista. O che egli stesso ha nei propri confronti.