Stava partendo, il treno che ci avrebbe portato al derby stava partendo.
La metà dei presenti non era ancora nata quando si era giocato l’ultimo, e l’altra metà era troppo piccola fin per farsi le seghe.
Qualche vecchio che ha fatto il derby c’è, la maggior parte di loro non viene più.
Non si sono mai abituati al nuovo modo di andare allo stadio e si vedono raramente sui gradoni, ma l’odio verso i cugini l’han tenuto vivo, tramandandolo alle nuove generazioni.
Troppa merda per noi negli ultimi vent’anni.
Troppa gloria per loro negli ultimi vent’anni.
Siamo carichi e sappiamo che anche loro lo sono, ce l’han fatto capire un paio di sere fa, quando sono venuti a riempire di scritte le vie della città.
Anche noi l’avevamo fatto la sera che festeggiammo la loro retrocessione, una settimana dopo aver festeggiato la nostra promozione.
Si faranno vedere, lo sappiamo, ma non dove lo faranno, né quando.
Poco alcool e poca droga, era stata questa l’unica raccomandazione per oggi.
Dovevamo essere lucidi e pronti, poi un bicchiere o una riga per tirar su il morale non si negano a nessuno.
Quasi tutti avevano rispettato il comandamento, in pochi avevano preso la trasferta come una serata e sarebbero stati carne da macello quando si sarebbe scatenata la battaglia.
Il convoglio procedeva spedito sui binari che ci dividevano dalla loro città di merda.
Eravamo a metà strada circa quando una pioggia di sassi e bulloni comincio ad abbattersi sui vagoni.
Non feci in tempo a rendermene conto che una pietra finì la sua corsa sul mio petto, inondando il mio volto con le schegge del vetro che aveva frantumato.
«Eccoli!», urlò qualcuno mentre tirava il freno d’emergenza, eravamo nei pressi di una zona industriale e loro erano lì ad aspettarci.
Erano parecchi e accesero delle torce per farsi vedere, scendemmo dal treno invadendo la massicciata in cerca di un varco nella recinzione.
Ci pensarono loro a indicarci la strada sfondando un cancello, caricandoci, facendosi precedere da un fitto lancio di bottiglie.
Il contatto fu brutale.
Si sentivano delle sirene in sottofondo, non sapevo che tra loro c’erano quelle dell’ambulanza che mi avrebbero trasportato nel pronto soccorso più vicino.
Ero in terra inerme e sentivo la battaglia intorno a me, ma io non l’avevo neanche cominciata.