Benjamin Malaussène è fratello maggiore di Louna, Clara, Thérèse, Jeremy, il Piccolo… Una nidiata di fratelli con papà diversi e con un’unica mamma, che si fa mettere incinta ogni volta che s’innamora, ma che ritorna vergine dopo ogni parto. Questa è la tribù Malaussène, che vive a Belleville in un’ex ferramenta al pianterreno di uno stabile, mentre Benjamin vive al quinto piano con il cane epilettico Julius, anche lui bastardo. In assenza di altri responsabili, Ben mantiene la famiglia lavorando al Grande Magazzino, dove svolge la mansione di capro espiatorio, «origine di tutto ma responsabile di niente». Proprio a causa della sua interessante e particolare professione, riesce ad attirare su di sé gli sguardi e la concentrazione di (zia) Julia, giornalista sexy tutta curve e cervello che, affascinata dalla professione di capro espiatorio, decide di scrivere un articolo su Ben.
Tutto scorre tranquillo finché tre esplosioni a distanza di pochi giorni scuotono il Grande Magazzino… Chi sono gli orchi che si celano dietro questi attentati? Chi le vittime delle stragi? La polizia indaga e scopre che le vittime hanno qualcosa in comune e che probabilmente le esplosioni non uccidono gente a caso. Ma come sprecare l’occasione di un capro espiatorio di professione, e non addossargli tutte le colpe?
Ecco che il nostro Benjamin Malaussène diventa così il primo indiziato.
Il paradiso degli orchi è la prima delle sei opere che Daniel Pennac ha dedicato alla figura di Benjamin Malaussène e alla sua strampalata famiglia. Lo stile dell’autore è limpido, ma sottile: una vena ironica percorre le pagine del romanzo, instillata da un autore consapevole del male che ci circonda. Il romanzo, a metà tra la narrativa e il noir, è ambientato non a caso a Belleville, quartiere parigino dove coesiste un magma di comunità diverse: africana, islamica, turca, cinese, francese; persone ancora oggi emarginate dalla società e relegate in un quartiere, proprio come i ragazzi della tribù Malaussène per cui Pennac ha un occhio di riguardo, convinto che con la creatività e l’umorismo si possa salvare il mondo. Il romanzo ha inoltre il pregio di introdurre nella letteratura la figura di Benjamin Malaussène e della sua tribù tragicomica. Ognuno, all’interno di questa insolita famiglia, rappresenta un’età, e attraverso la lettura dei romanzi ogni personaggio evolve, portando con sé le sue tipiche caratteristiche. Alcuni dei personaggi sono talmente stravaganti da sembrare inventati di sana pianta, invece proprio loro, come afferma lo scrittore in un’intervista, «non sono frutto della mia immaginazione bensì frutto della realtà». Il tratto essenziale dell’autore, che si evince anche leggendo romanzi che non appartengono alla saga della famiglia Malaussène, per esempio Signori bambini, è quello di partire da semplici situazioni o caratteristiche personali e di ingigantirle iperbolicamente, trasformando tutto ciò che potrebbe appartenere al reale in qualcosa di magico e surreale. In Signori bambini la situazione iniziale è lo svolgimento di un tema assegnato a una classe il cui titolo prevede di descrivere cosa accadrebbe se tali mocciosi fossero trasformati in adulti e i loro genitori in bambini. Pennac riesce a trasformare questo titolo di tema nello svolgimento del libro stesso, raccontando che il mattino seguente tre ragazzi si svegliano e sono adulti. Raccontate il seguito.
Ne Il paradiso degli orchi c’è una sorella dalla voce vellutata, Clara, che scatta foto di qualsiasi cosa le capiti a tiro; e una quindicenne scheletrica dalla voce ossuta che fa le carte e predice il futuro: persone apparentemente normali. E invece Clara vede «la superficie e il fondo delle cose» attraverso il suo zoom e fa foto soprattutto di ciò che la spaventa e la terrorizza per tranquillizzarsi; mentre Thérèse, sempre denigrata da Benjamin a causa della sua veggenza, riesce con meri calcoli astrali a individuare il nome delle vittime del Grande Magazzino ancor prima della polizia.
Questa, come ogni opera di Pennac, è un inno alla fantasia, screziata da una vena di cinica comicità e umorismo che vince su tutto e tutti, perché, come dice lo stesso autore, «l’umorismo è irriducibile espressione dell’etica».